domenica 18 marzo 2012

Voleva solo fare il padre.

Ci sono tante aspirazioni con cui venirsene fuori a questo mondo. Mio padre ne aveva una semplice, che ho scoperto col tempo. Mio padre voleva fare il padre.
L'ho capito guardandomi indietro negli anni, rivedendo nei miei ricordi non tanto l'affetto di un bacio o di un abbraccio, ma guardando con gli occhi di un adulto (?) tutte le fatiche che ha fatto per tirarci su, insieme a mia madre, e che nei miei ricordi di bambina trovavano posto semplicemente come dati di fatto.
L'ho capito perché quando io sono andata a studiare lontano lui poteva fare ancora il padre di mio fratello, ormai io ero la figlia lontana che forse un giorno ritorna, ma c'era ancora qualcuno da crescere, nel bene o nel male con me ormai era fatta. Ora che non c'è più nessuno a casa a cui fare da padre, solo ora l'ho realizzato. Solo ora che, a distanza di qualche anno, col lutto che si fa il suo posto nascosto nell'anima, mi ha detto che vuole adottare un bambino. Che la casa è vuota.
E' questo il mio e il suo più grande errore. Non ci basteremo mai da soli. Se c'è una cosa che ho ereditato da lui è proprio l'inclinazione alla malinconia, quel cedere quasi senza riserve alla tristezza, diventarne preda. E quando mi ha detto che voleva un altro figlio, non per sostituire chi non c'è più, ma per colmare il vuoto dentro la casa e dentro al cuore, in maniera differente, ma insomma sai, tua mamma ormai non ha più l'età per fare un figlio e poi abbiamo la possibilità di fare felice un bambino... avrei dovuto essere felice, invece mi ha assalito proprio quella tristezza.
Forse perchè non voglio avere un altro fratello, non uno diverso da quello che avevo. Forse perché mi si stava dispiegando davanti agli occhi, senza pudore, il dolore di mio padre, intatto come il primo giorno. La mia impotenza di lenire il suo, prima che il mio. e in tutto ciò quello silenzioso di mia madre, e la mia impotenza di consolare anche lei. Tutti i dolori che non avrei mai voluto sentire, di nuovo, insieme. La tristezza di pensare a un bambino che viene per far finta di colmare un vuoto.
La tristezza del pensiero di mio padre che voleva solo fare il padre e che sente, in qualche modo, di non esserci riuscito. La mia inabilità nel dire una semplice frase : non è vero. La mia inabilità nel dimostrarglielo.

martedì 24 gennaio 2012

"E dischi che tagliavano il tempo in due, come spade"

Il titolo è la citazione di un pezzo di Benni, in un suo spettacolo meraviglioso "Misterioso. Viaggio nel silenzio di Thelonious Monk". E' una frase che mi è sempre piaciuta perché c'è sempre uno spartiacque nei miei ricordi, una storia, un brano, un dolore.
Questo spettacolo, scoperto grazie a un amico , è sempre stato per me un piccolo gioiello che mi porto dentro, una cosa da condividere con pochi.
Fino ad ora, nel mio quarto di secolo più uno di vita vissuta, ho "costretto" due persone a vederlo. Una mi ringraziò subito dopo, perché conteneva il tema a lei molto caro del silenzio. L'altra persona non ha mi ha detto nulla. Non saprò mai quanto ha apprezzato, quanto ha capito, quanto si è sentito coinvolto. Non gli ho mai detto quanto fosse importante per me, questo è vero. Gliel'ho buttata lì, gli ho detto "dobbiamo assolutamente vederlo, io lo rivedo con piacere e tu così lo vedi, è bellissimo" ma forse non ha potuto apprezzare fino in fondo il fatto che io lo abbia condiviso con lui, come si condivide con pochi qualcosa che si è certi che pochi possono apprezzare fino in fondo.
Forse avrei dovuto spiegargli del silenzio. Di quel silenzio in cui è sempre chiuso, che batte i miei silenzi per dieci a zero, per impentrabilità e angoscia. Forse avrei dovuto dirgli che sensazione duplice mi davano i suoi silenzi, silenzi in cui mi potevo rifugiare ma che al tempo stesso mi incutevano timore, come il silenzio di un posto in cui non sei mai stato. Forse avrei dovuto dirgli che stare con lui era come camminare al buio in un bosco di notte, che i suoi silenzi erano invece i rumori che non ti aspetti e che ti fanno paura, chissà cosa è stato. Invece non ho detto nulla. Mi sono rannicchiata nei suoi silenzi appesantendo i miei. Ho scontato con lui tutti i silenzi di cui mi hanno rimproverato nella mia vita, ho sperimentato la vertigine, il vuoto, la paura, l'incertezza che ho iniettato a chi mi voleva bene senza volerlo, senza saperlo. Vorrei tornare indietro a chiedere scusa, se potessi. Ma c'è chi è morto senza sapere quanto gli volessi bene, e ora non ho neanche il coraggio di andare a visitarlo nella sua ultima dimora, a farmi investire dal suo inevitabile silenzio. C'è invece chi è ancora vivo, a qualche chilometro di distanza, a cui dovrei tante parole per scusarmi di troppi silenzi. C'è chi invece è qui.

Ogni silenzio è diverso da un altro. Ci sono silenzi di cui non ci accorgiamo. Altri che ci prendono alle spalle, e ci imprigionano, nel gelo. Silenzi che ci cullano e altri che ci riempono di inquietudine. Silenzi che rendono tutto più chiaro, come una vampata di luce. E silenzi oscuri in cui brancoliamo storditi. Silenzi in cui nasce una bufera di pensieri e silenzi che generano altri silenzi da cui altro silenzio nasce. E tra una parola e l'altra c'è sempre un breve silenzio. In cui puoi sentire il respiro. E il pensiero. E nel concerto, una sola nota e poi silenzio. E il silenzio dopo una nota diventa silenzio prima di qualcosa. Silenzio che aspetta. Blues, urlo , sparo o voce amica. E ci sono silenzi che parlano e altri che si chiudono dietro di sè come un aporta d'acciaio. Il silenzio di un malato nel letto e delle macerie dopo il morso della bomba. Degli amanti che dormono. Il silenzio del mio crepuscolo con Nellie. Della mia solitudine vicina e della tua voce lontana.
Omaggio a Thelonious Monk

Portrait of the artist as an affettaverdure

In questi giorni il mio umore subisce delle variazioni che neanche settanta donne tutte in periodo pre-mestruale potrebbero eguagliare.
Io che mi sono sempre vantata del mio self-control, del mio non farmi condizionare dagli eventi, mi ritrovo battuta da una frase, al primo round, senza neanche un accenno di difesa. Al tappeto.
Ogni tanto lo attribuisco all'età, ma in realtà col tempo non si dovrebbe diventare più forti?
Poi invece lo attribuisco alla serie di eventi spiacevoli che si sono susseguiti, ma non dovrebbero invece avermi temprato?
Io sono il classico esempio di chi dagli errori non impara quasi mai un cazzo, salvo per quella volta che mi sono tagliata il dito con un affettatutto, beh sì, adesso ci sto più attenta, ma questo non mi impedisce di procurarmi una frattura multipla alla tibia e al perone, solo mi ricorda che quando uso un aggeggio infernale, devo stare attenta alle dita.
La verità è che io supero le difficoltà sorpassandole in curva e sperando che mi vada bene, così come quello stupido dito è ricresciuto ma se lo tocco mi fa male tutto quello che penso di aver superato mi aspetta alla curva successiva con gli interessi e gli extra per il servizio in camera. Davvero, ve lo dico col cuore in mano, se usate gli affettarobadamangiare, prendete delle precauzioni.




giovedì 19 gennaio 2012

"Tristezza che non viene da sola e non viene da ora"

E' bello poter citare l'amato maestro, per il titolo di un post. Nei giri su sè stessa che può fare una mente fin troppo introspettiva, mi sono ritrovata a pensare qualcosa, e il riassunto era proprio quello. Tristezza acquisita, accumulata nel corso degli anni, tristezza di vecchia data, amica dall'infanzia, atavica come un racconto tramandato di generazione in generazione.
Sono triste, ora. Un momento penso di sapere perché, e subito dopo non lo so più. Confesso, nego, ritratto. La verità è che non sono mai triste per un solo motivo, ma per una stratificazione di motivi; me li immagino messi lì come in uno schema di sezione trasversale di terreno, di pelle, di lasagna. Man mano che si aggiungono motivi nuovi, dimentico i vecchi, li seppellisco, ma restano lì, non vanno via, anzi, sono la causa dei terremoti. Se costruisco la mia felicità su delle zone sismiche dopotutto, non so proprio perché mi aspetto qualcosa di diverso da questa malinconia costante, che sarà pure servita a qualcuno per creare le massime opere di cui ancora oggi andiamo brillantemente cianciando, ma a me che non so creare che casini giorno per giorno lascia solo un'ulteriore amarezza per quello che ho appena detto.

mercoledì 11 gennaio 2012

Costanti

Tra le tante virtù che mi mancano, quella che vorrei davvero è la costanza. Quella che ti fa continuare un prgetto una volta che l'hai iniziato , che non ti fa perdere l'entusiasmo a metà percorso. Quella che ti fa amare sempre (o per un lungo periodo di tempo, almeno) la stessa persona, di modo che quella persona poi non debba soffrire perché da un giorno all'altro chissà cosa ti passa per la testa. Quella che non ti fa perdere di vista l'obiettivo perché non ti fa perdere interesse nell'obiettivo, che poi se lo vuoi cambiare va bene, ma porta almeno a termine quello che stai facendo, che male non fa.
La costanza è il binario per il treno. Io sono quel carrello a mano che si vede nei vecchi film, quello che va sempre un po' dove cavolo gli pare. Quelli che hanno la costanza possono pensare che sia bello stare sopra le righe, sotto, affianco, attorcigliarle un po' queste righe, farci i disegni, tagliarle e riannodarle, tutto per seguire una strada che è solo nei tuoi pensieri o per non seguirne alcuna e avere un'ottima scusa per non averlo fatto. So bene che i costanti (chiamiamoli così, che mi fa venire in mente l'analisi matematica e ci sta benissimo) lo pensano ad alta voce, con una finta punta di invidia, in fondo stanno benissimo nella loro vita; forse a volte gli viene la curiosità di sapere cosa c'era al bivio, ma poi guardano gli scostanti e pensano "ecco cosa c'era, ho fatto bene a non svoltare". L'inconcludenza, l'indecisione, la volubilità; l'incertezza, il disequilibrio, la paura; il dubbio, l'angoscia, l'improvvisazione, ecco cosa c'era. Strade che non ti portano a nulla. La sensazione di perdersi è bella, l'amiamo tutti, ma solo perché dopo un po' torniamo indietro, torniamo a casa. Chi si perde davvero, sa che la poesia che ci si trova è solo pasto per chi a perdersi davvero non è mai stato bravo, ma il prezzo è non ritrovarsi mai, tanto che poi perdersi non ha più nessun significato, perché non c'è più nulla da ritrovare, "scusami IO, ti stavo tenendo d'occhio, giuro, mi sono voltata un attimo a dare indicazioni a un passante e quando mi sono voltata non c'eri più. Mi manchi. Credo che chiamerò quelli della televisione, per rilasciare qualche intervista in lacrime. Fa' una cosa, non tornare. Magari tra tanti anni, e con la sindrome di Stoccolma per qualche sequestratore morto suicida. Dopo rilasceremo interviste insieme"

mercoledì 30 novembre 2011

Nel momento stesso in cui viviamo, cresciamo in noi la morte. Ma questa era solo una parte della verità che dobbiamo imparare. Era stata la morte di Naoko a insegnarmelo. Per quanto uno possa raggiungere la verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata.Non c’è verità, sincerità, forza, dolcezza che ci possa guarire da una sofferenza del genere. L’unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercan-do di trame qualche insegnamento, pur sapendo che questo insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all’improvviso
da Tokyo Blues, Haruki Murakami

domenica 25 settembre 2011

Dottore, che sintomi ha la stupidità?

La stupidità umana ti può sempre stupire sulla larga e sulla piccola scala. Così succede che nel giorno in cui l'intera Italia (almeno quella che usa informarsi su internet) sta ridendo o disperandosi per il comunicato stampa più idiota degli ultimi 150 anni , per dirla con il nostro presidente, io mi trovi faccia a faccia con una di  quelle che considero le stupidità su piccola scala .
Esco con un amico che non vedevo da tempo, lui era con degli amici che erano con degli amici di amici di amici. Il solito. Ma gli amici degli amici degli amici degli amici si rivelano essere due mie conoscenze di vecchia data, persone con cui ho diviso qualche anno e che sono sparite alla prima buona occasione per uscire di scena dalla tua vita senza dare troppo nell'occhio, giusto qualche battibecco per salvare la faccia.
Il mio primo pensiero, fuck internet, è stato LOL. Si , lo trovavo divertente, ma tu guarda, non li vedevo da una vita e pam, me li ritrovo qui davanti, con la faccia imbarrazzatissima, al momento. Cose che si pensano in un milionesimo di secondo, nell'altro milionesimo decido di comportarmi come qualsiasi persona civile deciderebbe di comportarsi e in un altro milionesimo saluto con nonchalance. Qui però si capisce subito che l'altro animale ti sta dicendo : aria, smamma. Sì perché i cari appartenenti alla specie che si regge su due gambe salutano (forse, giuro che non l'ho capito) ma in un tempo ancora più piccolo di quanto io ci abbia messo a pensare; poi, di tutta risposta, si guardano interdetti e si voltano dall'altro lato. Ma bene, voi si che sapete come mettere a proprio agio quelli che ci circondano.
Ok, io quello che avrei dovuto fare l'ho fatto, penso. Solo che nei terribili vuoti che si intercalano tra persone che non stanno benissimo tra di loro mi sono trovata a pensare : ma perché non ci parliamo più? Un po' di fatica a ricordare tutto bene, la solita coppia che appena esce dal parto gemellare che è stata la sua fase di corteggiamento e in cui tu ti sei trovata invischiata non si sa bene come, decide benissimo che se proprio vuoi vederli devi alzare ogni volta il tuo sedere dalla sedia e far loro visita, che loro non hanno tempo, abitano dall'altra parte di questo grandissimo borgo medievale. Ok, me lo ricordo. Eri la mia coinquilina una volta, s'andava d'accordo, si era diventate amiche ma io dico coinquilina perché per me è più comodo, boh, poi arrivano i ragazzi. E tu , ragazzo, eri in studentato con me, eri un tipo difficile, mi stavi sul cazzo e lo sapevi, ci siamo mandati a quel paese tante volte ma ovviamente la volta definitiva è quando ti tocco la ragazza per motivi che non ti riguardano nenache da lontano. Niente, fa tutto troppo ridere. E' il copione di un film su post adolescenti di serie B che rifiuterebbero anche su Telenorba.
Dopo il breve riassunto che si sviluppa tra una parola e l'altra all'unica persona che volevo vedere davvero durante la serata, mi rendo conto che è passato troppo tempo perché questo possa essere ancora un motivo valido non dico per non parlarsi, ma almeno per non guardarsi in cagnesco. Ma la coppia non la pensa come me, continua ad andare avanti facendo finta che io non esista, l'altra coppia che se li è portati dietro mi evita di rimando, io resto con l'amico a parlare della vita da là dove si era lasciata l'ultima volta , che ogni tanto penso che se s'usciva da soli ci si sarebbe divertiti un pelino di più.
Dopo un quarto d'ora prendo coraggio e gli spiego in due parole che non corre buon sangue, tra me e i bipedi diffidenti, lui si stupisce, capisce e poi sicuramente il suo cervello dice ma LOL, tanto anch'io con quella quadriglia di morti  mi stavo augurando una lobotomia istantanea ( i suoi amici erano un'altra coppia) ma dice solo : boh, li ho conosciuti stasera. Poi si cambia argomento, li si perde fortuitamente ( o volutamente da parte loro) di vista e la serata va avanti.
Allora cosa diavolo è la stupidità? La stupidità, in questo particolare frangente, è il credere che la tua vita sia così importante da rabbuiare la serata a chiunque solo perché qualcosa come 4 anni fa ci siamo mandati a quel paese. E' giusto mandarsi a quel paese, è giustissimo e sacrosanto che se mi vedi non mi sorridi e magari non mi vedi proprio e passi dall'altro lato per non vedermi meglio, ma chi te lo impedisce di morire dentro anche perché forse a 5 anni una bambina come me ti ha picchiato. Io non dico neanche che sia più importante che gli altri si godano una bella serata. Io dico solo che l'odio è una cosa stupidissima, e io ne sono cronicamente affetta, sono di quei fumatori che dicono che il fumo fa male, non iniziare cazzo. Ma se hai iniziato, come me, che sei veramente un coglione, va bene, succede. Ma dopo 4 anni, un po' non ti viene da ridere? Non con me, sia chiaro. Di te. E dico di te, perché io di me ci rido fin troppo.